ReCommon biasima con forza il comportamento di Intesa Sanpaolo, da mesi trincerata dietro un eloquente silenzio sulla possibilità di rivedere i suoi impegni in merito allo stop ai finanziamenti al settore dei combustibili fossili. La principale banca italiana, “occupata” oggi nell’ennesima assemblea degli azionisti a porte chiuse, sembra voler mettere sotto il tappeto il suo coinvolgimento nella crisi climatica, derivante da un munifico sostegno al comparto fossile – 81,6 miliardi di dollari dall’Accordo di Parigi ad oggi – che nel solo 2023 hanno fatto registrare 8,6 miliardi di dollari di investimenti e 7,5 miliardi di dollari di finanziamenti. Per quanto riguarda le compagnie che continuano a espandere il settore oil&gas, le cifre disponibili raccontano di 986 milioni di dollari nel 2022 e 1,5 miliardi nel 2023. L’aumento del 52% nell’arco di un anno è dettato dal maggiore impegno preso nei confronti del gigante fossile italiano Eni, che ha beneficiato dell’intera cifra stanziata nel 2023, rendendo l’istituto di credito torinese il secondo finanziatore mondiale del cane a sei zampe dopo UniCredit.

La policy su clima e ambiente della prima banca italiana è tra le più deboli, se paragonata ad altre istituzioni finanziarie europee, a causa delle numerose lacune e scappatoie presenti. Sollecitata nuovamente da un gruppo di investitori, il gruppo Intesa Sanpaolo ha promesso l’aggiornamento di una nuova policy entro la fine del 2024.

Nel frattempo rimangono i punti deboli. A partire dal carbone, che altri istituti di credito hanno smesso di finanziare, mentre Intesa Sanpaolo non indica nemmeno una data di abbandono completo dell’intero settore e continua a foraggiare il più inquinante tra i combustibili fossili: 3,36 miliardi di dollari di finanziamenti nel 2023, oltre a investimenti rivolti a compagnie che continuano ad avere piani di espansione in ambito del carbone come Adani, Glencore e Sasol.

Le regole sul finanziamento del settore oil&gas non convenzionale, invece, non prendono in considerazione progetti che prevedono estrazione in acque profonde (ultra-deep water). Rientrano tra tali progetti Rovuma LNG, con capofila Eni e la statunitense ExxonMobil, il più grande dei progetti di gas naturale liquefatto in Mozambico e Coral North FLNG, una piattaforma galleggiante di estrazione e liquefazione di gas, duplicato del progetto Coral South FLNG, sempre di Eni e sostenuto dalla controllata UBI Banca con 160 milioni di dollari. Nonostante abbia quindi di fatto già supportato un progetto estrattivo in Mozambico, Intesa Sanpaolo non ha dato a ReCommon alcun chiarimento relativo al possibile coinvolgimento in Rovuma LNG o Coral North FLNG.

Il gas naturale liquefatto (GNL) è alla base del business plan fossile della banca, in particolare negli Stati Uniti. Dal 2016 a oggi, Intesa Sanpaolo ha erogato 4,8 miliardi di dollari di finanziamenti alle società attive nel GNL nel Golfo del Messico. Una regione, quest’ultima, già martoriata da eventi climatici estremi, dalla concentrazione di grandi impianti industriali e ora sacrificata sull’altare del GNL per i mercati asiatici ed europei. Nel luglio del 2023, Intesa Sanpaolo ha concesso un prestito di 1,08 miliardi di dollari per la realizzazione del terminal di export di gas naturale liquefatto texano Rio Grande LNG, della multinazionale energetica statunitense NextDecade.

«Rio Grande è un’opera che provocherà pesanti ricadute negative dal punto di vista ambientale, economico e sociale, tanto che il rischio reputazionale a esso associato ha portato BNP Paribas, Societe Generale, Crédit Mutuel, UniCredit e La Banque Postale a impegnarsi a non finanziare i progetti simili nella Rio Grande Valley» ha dichiarato Daniela Finamore di ReCommon. «Anche in questo caso, sollecitata da organizzazioni internazionali e comunità impattate a fornire delucidazioni sul finanziamento, Intesa Sanpaolo non ha dato alcun tipo di riscontro, confermando la sua linea di condotta di totale chiusura alle istanze della società civile, quanto meno in materia climatica e ambientale» ha concluso la Finamore.